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Imperatore Vincenzo

Chi è Vincenzo?

Un sessantenne nato da una umile famiglia: papà un piccolo artigiano incisore su vetro, mamma una casalinga. Entrambi poco scolarizzati, mamma però con una visione strategica lunghissima, figli entrambi, ed anche il sottoscritto, di San Giovanniello. Nonostante tutti, nel quartiere, lasciassero gli studi dopo la scuola dell’obbligo, quella benedetta donna di mia mamma invece diceva che il figlio doveva fare il Liceo perché poi doveva fare l’Università. Così mi iscrivo al Liceo Scientifico Caccioppoli e lì la fortuna ha voluto che incontrassi uno di quei professori che ti cambiano la vita, il professor Enrico Tecce, che ricordo sempre con molto affetto. Nei primi due compiti italiani io becco 4 e 4, e lui chiede di incontrare mio padre, che per lavoro usciva alle 6 e mezza di mattina e si ritirava alle 8 di sera quindi non ha mai incontrato nessun professore. Il professore disse “io vengo alle 7 di mattina qua, tu fai venire papà fuori scuola”. Mio padre arrivò là e lui disse “tuo figlio ha una grande capacità di scrittura creativa però non sa scrivere in italiano perché non legge”e aggiunse “allora facciamo un programma: a lui piace lo sport e deve leggere il Guerin Sportivo, gli piacciono i fumetti e deve leggere Alan Ford, perché è uno dei fumetti più intelligenti”. Chiese a mio padre di stanziare una parte del suo salario per comprare ogni mese 3 libri che dovevo leggere. È lì è iniziata la passione per la lettura ed oggi posseggo con orgoglio una biblioteca di circa 4000 volumi con ancora conservato il primo libro, “Intervista sulla storia di Napoli” di Percy Allum che poi ho fatto rifirmare 5 o 6 anni fa al professor Tecce che non pensava che io avessi ancora conservato quel libro.

Questo professore quale capacità ha visto in te che gli altri non vedevano?

Probabilmente dal punto di vista della scrittura questa capacità creativa di raccontare qualcosa in maniera molto semplice. Lui diceva che avevo una scrittura molto semplice che arriva diretta alle persone però mi mancavano le basi dell’Italiano. Diceva che le basi dell’Italiano o si studiano a scuola o s’imparano leggendo: più leggi più allarghi gli orizzonti, più impari vocaboli più allarghi il vocabolario, impari la sintassi, le formule descrittive ecc. Ma soprattutto è stato la prima persona che mi ha fatto capire che per raggiungere gli obiettivi occorre fare sacrifici e impegnarsi tantissimo.

Facciamo un salto in avanti, completi gli studi e cominci a lavorare.

Laureato in Economia e Commercio con il massimo dei voti, ho la fortuna di vincere una borsa di studio per un Master alla Luiss. Un paio di mesi prima che terminasse, iniziano ad arrivare le prime richieste di giovani al Master e io invio un po’ di curricula alle Banche. Erano anni di forte cambiamento in campo bancario e, soprattutto, iniziava ad affermarsi il concetto di Manager all’interno della Banca. Entro in Credito Italiano attraverso un “Programma di formazione differenziata” per giovani talenti, che dopo 4 anni ti portava ad assumere ruoli di responsabilità. Durante questi 4 anni, inizia la privatizzazione anche di Credito Italiano e arriva Alessandro Profumo, che con la sua squadra cambia completamente il modo di lavorare, l’approccio, vengono introdotti i sistemi di incentivazione delle prestazioni, viene introdotto il concetto di gestione delle persone. Quindi focalizzazione sulla gestione delle teste, dei cuori, delle pance, delle emozioni, non solo delle competenze dei collaboratori.

Cosa caratterizzava Profumo?

Ne parlo con enfasi. La visione strategica, la capacità di vedere oggi quello che poteva succedere tra 5 anni, tra 10 anni. Due giorni al suo fianco valevano tre anni con un qualsiasi altro capo.

Parliamo del tuo primo libro “Io so e ho le prove”.

Quando faccio la scelta forte di allontanarmi dal mondo bancario e di entrare nel mondo della Consulenza Direzionale, riprendo dopo 23 anni il sogno di scrivere. Mando la prima bozza del libro a “Chiare Lettere” e mi arriva una telefonata quasi spaventata che mi invita ad incontrarci a Roma. Mi chiedono se tutto quello che ho scritto in questa prima bozza è vero. e se ho le prove di tutto. Io sono un po’ monomaniaco e conservo tutto perchè sono metodico, non perchè un giorno avrei potuto utilizzare quel materiale. Quindi tutta quell’epopea, quei 23 anni, non solo la raccontavo, ma ne avevo le prove. Vengono a Napoli, io tiro fuori tutto e loro mi invitano a chiudere in 3 mesi questo libro che sarà il caso il caso editoriale dell’anno, scritto dalla prima “gola profonda” dall’interno del sistema bancario. Il giorno in cui esce “Io so e ho le prove” la mia vita cambia. “Repubblica” recensisce il libro e dedica copertina e un ampio servizio all’interno del “Venerdì’, da lì prima pagina di “Libero”, di “Il Mattino”. di “ il Fatto”, per la prima “gola profonda” che parla di ciò che è avvenuto all’interno del sistema bancario.

Tu non avevi scritto solo un libro ma avevi aperto l’armadio con i suoi scheletri dentro.

Innanzi tutto mi autodenuncio perché ero stato parte di quel sistema e denuncio tutto ciò che avevo visto, sentito fatto, vissuto.

Cosa ti hanno riconosciuto i lettori?

Il coraggio della denuncia che in questo paese è raro.

Quale messaggio ti senti di trasmettere ai giovani?

Il fallimento è un’opportunità. Gli americani dicono “fail soon fail good”, cioè fallisci subito e fallisci bene, perché da lì impari, dietro le vittorie ci sono i fallimenti. La capacità di rialzarsi dal fallimento. è la cosiddetta resilienza. Questo è un messaggio che dobbiamo dare ai giovani. Ci si è abituati a vedere la scena finale del film, se tu vedi solo questa non racconti a un giovane il sacrificio, la determinazione, le notti insonni, le lacrime che ci sono state. È questo un messaggio che bisogna dare ai giovani. Giovani che vivono in un contesto, in un mercato del lavoro completamente diverso da quello che ho vissuto io, molto più difficile. Noi abbiamo la responsabilità enorme di aver lasciato un’Italia peggiore di quella che mio padre, poco scolarizzato, aveva lasciato al sottoscritto. Ai giovani dico costantemente che è l’omologazione che distrugge e voi, per potere emergere, avete questo peso di dovervi specializzare, di essere ancora più profondi, avere delle skills non più generiche, ma specifiche.

Cosa consigli ai giovani startupper?

Fare imprenditoria in questo paese è difficile, farlo da startupper è ancora più difficile. In questo paese mancano strumenti che finanziano le start-up e la formazione per gli startupper Per uno startupper la sua idea è sempre vincente, ma quando scopre che, attraverso l’analisi del mercato e il contesto, probabilmente quell’idea tanto vincente non lo è, allora deve avere la forza ed il coraggio di crederci perché fallire non è un problema, non è un peccato. Prima fallite prima capite se quel progetto era giusto o sbagliato.

Grazie, Vincenzo.

Grazie a te, grazie a voi.

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