Chi è Enrico inferrera?
Un uomo che ha cercato sempre di migliorarsi da quand’era ragazzo fino ad ora e che sempre ha cercato la verità nelle cose, nei rapporti umani, nella vita sociale. Mi definisco un uomo che fa della socialità il suo obiettivo tant’è vero che anche Confartigianato è un’associazione emblema del sociale e della collaborazione nel condividere interessi, battaglie, ideali. Ho vissuto gli anni ‘70, quelli che si definiscono gli “anni della contestazione”, della rivoluzione delle idee. Ho cercato sempre nella mia vita di portare avanti quegli ideali giovanili che significavano giustizia nella società, significava andare avanti senza schiacciare gli altri, andare avanti migliorando sè stesso non sminuendo gli altri. Io credo che l’unico modo di emergere sia migliorare sè stessi studiare, capire, viaggiare confrontarsi con gli altri, ognuno ha qualcosa da insegnarti e credo che si possa offrire agli altri un pezzetto della propria cultura, della propria esperienza di vita.
Se ti dovessi definire con un aggettivo?
Determinato. Mi definisco uno che non molla mai. Determinato e curioso. Sono una persona molto curiosa mi interessa tutto ciò che accade intorno a me, le persone come cambiano le cose, come cambiano il mondo, come è cambiato negli ultimi 20 anni, negli ultimi 30 anni, da quando sono nato fino a oggi.
Da giovane che lavoro volevi fare?
Andavo molto bene a scuola, però ero un contestatore. Con i professori dialogavo sempre con grande educazione. Però ci tenevo a far comprendere che il mondo stava cambiando. E mi trovavo di fronte a professori che magari erano anziani negli anni ‘60 e avevano un vissuto completamente diverso. Magari avevano fatto la guerra, magari avevano vissuto il fascismo e quindi avevano una mentalità che era completamente diversa da me giovane negli anni ‘60, negli anni ‘70 e che vedevo il mondo e volevo cambiarlo, trasformarlo, farlo diventare più giusto, più leale, più rispettoso delle esigenze di tutti. Enrico allora era un ragazzo ribelle che fondò il primo giornale della scuola De Nicola, “il Sovversivo”, nome emblematico. Da allora ho sempre sognato di scrivere, di fare lo scrittore, lo sceneggiatore, mi sarebbe piaciuto anche interessarmi di cinema e di teatro. Ho fatto le Elementari a Taranto e lì avevo uno di quegli straordinari maestri elementari che c’erano una volta, era un uomo di una cultura, di un’umanità straordinaria e amava molto leggermi. Alla fine del mio percorso, mi disse “mi raccomando da grande continua a scrivere, fai lo scrittore perché ha il talento per farlo”. Poi però mi sono sposato molto giovane, appena diplomato, e mi son messo subito a lavorare. Facevo il rappresentante di Oreficeria e Argenteria. Partivamo da Napoli con un furgone con contenitori pieni di argenteria che vendevamo direttamente ai negozi in tutto il Sud, fino in Sicilia.
A chi ti sei ispirato?
Mio nonno, Generale ed eroe di guerra, che era un uomo di una cultura straordinaria. Mi ha insegnato il rigore e lo studio. Mi diceva sempre che un uomo d’azione deve essere anche un uomo di pensiero e che la cultura è importante, che un uomo d’azione deve anche avere forza mentale, capacità di comprendere le cose e comprendere le cose significa studiarle.
Parliamo dei ragazzi di oggi.
Quando parlo ai ragazzi li invito a ribellarsi perché i giovani devono portare novità, devono portare nuove idee. La società si deve rinnovare con le idee dei giovani mentre spesso li vedo un po’ addormentati ‘sti ragazzi. Li stimolo a esporre con forza le proprie idee e quindi non assuefarsi al mondo come va. Giro molto nelle scuole per i libri e vedo che loro vogliono parlare ma non hanno la possibilità di farlo. I ragazzi hanno voglia di dialogare, hanno voglia di parlare, hanno voglia di raccontarsi, di dire i loro problemi, se noi li isoliamo, finiamo per creare ragazzi insoddisfatti.
Cosa significa essere Presidente di Confartigianato, un’associazione così antica, in una città complessa come Napoli?
Significa curare le imprese artigiane e rappresentarle, occuparsi in tutti i modi possibili del loro progresso, della loro vivibilità, dei loro problemi, che sono tantissimi, ma soprattutto significa avere una visione a 360 gradi cioè rappresentare i problemi della piccola impresa. Significa rappresentare il territorio, significa rappresentare le problematiche che ci sono in questa città perché nessuna impresa può avere grande successo in un territorio che ha grandi problemi. Quindi noi dobbiamo portare avanti le istanze del territorio conoscerne i problemi, magari suggerire ai politici le soluzioni, tenendo presente non solo di rappresentare un gruppo d’imprese, un’impresa o un settore, ma a rappresentare un territorio con tutta la sua complessità. Se domani mattina mi arriva un giovane che vuole aprire un’attività io, prima ancora di chiedergli la tessera, gli devo mettere a disposizione tutta la mia struttura, tutta la struttura di Confartigianato, lo devo far parlare col Commercialista, lo devo far parlare con chi si occupa di credito, con chi si occupa di assunzione dei dipendenti, con chi si occupa di sicurezza. E questa operazione per lui deve essere gratis, perché lui si sta orientando. E questa è anche una problematica, perché in quel momento io sto facendo lavorare 4/5 professionisti senza senza incassare un euro. E quindi bisogna essere bravi a considerare sia l’aspetto sociale, solidale che l’aspetto imprenditoriale dell’Associazione.
Chi sono gli artigiani?
Degli straordinari artisti. Quasi tutti sono persone che hanno una grande professionalità, un grande amore per l’attività che svolgono. Molti hanno fatto grandi sacrifici per imparare il loro mestiere, perché non è facile. È un mondo straordinario.
Enrico Inferrera scrittore.
Tieni presente che io scrivo da sempre ed ho i cassetti pieni di cose che scrivo. “Vite bisestili” è stato il mio primo ro28manzo
che ho iniziato a scrivere all’inizio degli anni 2000 ma l’ho messo da parte. Ad un certo punto, per tutta una serie di vicende della mia vita, ho ritenuto che fosse indispensabile per me finire quel romanzo, era diventata un’ossessione, una scommessa con me stesso. Sentivo che il tempo passava nella mia vita e che non ero riuscito a fare una di quelle cose che volevo fare da piccolo, che era uno dei miei sogni più grandi. Poi ho pubblicato un libro di poesie, il secondo romanzo “Le eresie del tempo” ed il terzo “Idia ascoltami” scritto insieme alla professoressa Lombardo.
Come racconteresti Napoli?
Napoli è un luogo che ti straccia gli appunti che hai scritto per descriverla. Napoli è un luogo misterioso, straordinario dove tutto è possibile e chiunque l’abbia definita, non l’ha definita nel modo più giusto perché si è sempre perso qualche cosa per strada.
Chiudiamo con un auspicio per i giovani studenti, gli artigiani e gli imprenditori
Credo che dobbiamo puntare sulla nostra volontà, sulla nostra conoscenza. Questo vale per gli studenti, vale per gli artigiani, vale per tutti noi che dobbiamo imparare a stare insieme e a risolvere insieme i nostri problemi senza sentirci superiori agli altri e collaborando, cercando di dare a ciascuno di noi il massimo possibile. Dietro questo ci deve essere sempre l’applicazione, il rigore, lo studio, l’impegno. Perché l’uomo è fatto di queste cose: impegno, attenzione e rigore.
Grazie Enrico.
Grazie a voi.
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