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Di Maggio Daniela

Chi è Daniela?

Io chi sono? Penso di essere quella che si è vista in questi undici mesi. Una donna con un temperamento molto forte, perché questo non deriva soltanto dal dolore che ha scaturito la morte di mio figlio e che mi ha fatto diventare ancora più forte. Ma già lo ero di mio. Sono una donna risoluta che ama la giustizia e che vive da tanti anni facendo del bene agli altri per il mio lavoro.

Oggi sei ambasciatrice di tutta una serie di progetti sociali, ma quale era il tuo lavoro?

Sono una logopedista, sono un counselor, una terapista cognitivo-comportamentale. Sono 35 anni che lavoro aiutando il prossimo.

In che contesto è cresciuto Giogiò?

È vissuto in un ambiente in cui c’era una madre che con il suo lavoro aiutava gli altri. Un papà che con il suo lavoro comunque aiutava gli altri, perché un regista teatrale, uno scenografo, uno scultore, un pittore che genera arte, aiuta la società. Il rispetto era la parola. principale di casa nostra. Rispetto per l’ambiente, rispetto per gli animali, rispetto per la diversità, rispetto per le persone. Giogiò viveva nutrendosi di cose belle. A casa nostra si ascoltava la Nuova Compagnia di Canto Popolare, la musica classica, le villanelle del settecento e si leggevano libri. Giogiò aiutava il padre a dipingere e a suonare, perché mio marito comunque aveva un pianoforte, si metteva a suonare quando componeva le cose per i suoi spettacoli, quindi lui assorbiva bellezza.

Giovan Battista, classe 1999, ha sempre voluto fare il musicista?

Era convinto, era appassionato, era innamorato di questo suo mestiere che imparava al Conservatorio. Lui ha iniziato a suonare la tammorra, poi il pianoforte, la chitarra. Era un orecchio assoluto, la musica proprio gli penetrava nello sterno. Al Liceo Musicale si è appassionato al corno francese. Basta un minuto per rendere felice una persona e molto di meno una mamma.

Lui come ti rendeva felice?

Innanzitutto, aveva un sorriso pazzesco, veramente bellissimo. E soprattutto perché era, come si dice a Napoli, uno “sfutt’-mesfutt’”, faceva sempre un sacco di scherzi. Ma poi battute, cose, non ti dico veramente… mi riempiva proprio. Aveva una grande dolcezza ma era anche un “cacambrello” che non se ne può avere un’idea. Perché noi lo chiamavamo da bambino “Ciccio la Questione”. Aveva anche la padronanza di una certa semantica che veramente ti incantava. Gli amici lo chiamavano e gli dicevano di avere bisogno del “Giogiò-pensiero”. Era proprio un punto di riferimento. gli amici hanno scritto delle lettere, mamma mia, da strazio proprio, perché veramente lui era il punto di riferimento di tutti.

Cosa ti ricordi della sua ultima uscita, che sensazione hai avvertito?

Erano diversi giorni che sentivo che c’era qualcosa di brutto che gli stava per accadere. Noi mamme abbiamo il sesto senso e quindi avevo questa sensazione. Una settimana prima, io, Lulu e Giogiò abbiamo schivato un incidente mortale. Ho pensato perché stavamo morendo e non siamo morti? Perché evidentemente lui non doveva morire in quel momento. C’è un tempo, c’è una destinazione, perché c’è un momento per tutti noi e quel momento lì non era di tutti e tre. Doveva essere solo il momento di Giogiò dopo una settimana. perché poi Daniela doveva fare delle cose, Lulu doveva fare delle altre e soprattutto Giogiò doveva scatenare questo tsunami di bellezza che ha creato intorno a sé: aule dedicate, concerti dedicati, ragazzini che si stanno appassionando allo strumento del corno, ragazzi che, quando vado nelle scuole, dicono voglio diventare come Giogiò. E questo è un miracolo. La morte di mio figlio ha creato un miracolo intorno a sé. Quella sera, poichè era a dieta gli ho preparato il riso venere e gli ho detto “Giogiò ti ho fatto una sorpresa”. Alza il coperchio, vede il riso venere e ridendo mi dice “Ma’, ‘e sorprese so’ ‘e parmigiane! Ma vavattenn’!” Ci siamo salutati così.

Cosa è avvenuto quella notte?

Non erano mai andati in quel pub a Piazza Municipio. Una delle amiche del gruppo di Giogiò parcheggia male il motorino. I ragazzi della Paranza dei quartieri vedono i buoni ragazzi, li intercettano e cominciano a fare i bulli. All’improvviso inizia questa discussione. Iniziano a lanciare le sedie, a fare la rissa e a buttare un barattolo di maionese in testa ad un ragazzo, amico dell’amico di Giogiò. Giogiò vede questa scena, corre in difesa di questo ragazzo, se lo prende, e dice ai ragazzi di smetterla ma quelli gli lanciano uno sgabello di ferro in faccia. Il killer stava in disparte, ride guardando la scena quando gli lanciano lo sgabello e Giogiò protegge il ragazzo, estrae la pistola e lo spara alle spalle. Giorgio sente il colpo e corre, lui lo rincorre, doppio sparo alle spalle, cade a terra e lo fredda. Ecco perché Giogiò è “Medaglia d’Oro al Valore Civile”. Giogiò non c’entrava nulla con la rissa. Giogiò ha visto da lontano che stavano buttando le sedie per aria e roba varia. È andato per proteggere il ragazzo. Tutto qua. Si può perdere così un figlio? Avete capito perché tutto è insensato?

Quando è finito Giogiò, la sua anima, la sua volontà e la tua voglia di riscattare questa città è emersa. Cosa ti è scattato dentro? 

La spinta che ho avuto è nata anche dal fatto che Giogiò lo avrebbe voluto. Una volta Giogiò stava a Piazza Dante e vedendo tanti ragazzini sui motorini, senza casco, che scorazzavano eccetera eccetera, mi disse “Ma’ questa nuova generazione mi fa paura, s’avess’ aiuta’” e quelle parole mi sono rimaste impresse.

Come se ti avesse investito di un compito.

Sì, perché lasciando questi ragazzi così e creiamo delle sacche di società guaste e ciò crea problemi a tutta la società. E allora cosa significa rimanere una società dove vedi i ragazzi che vanno incontro al male? Noi abbiamo il compito di recuperarli questi ragazzi. è questo che mi ha spinto, per questo vado nelle scuole. Il dolore si può anche trasformare. Facendo del bene, aiutando gli altri, passando il testimone, dando una speranza. Perché quando un ragazzo vede una persona forte, una persona risoluta, ha un grande scossone.

Qual è la missione che ti sei data?

Quella di creare tante piccole orchestre Giovanni Battista Cutolo perché già ne è stata una a Pineta Mare con bambini nigeriani, senegalesi e di Castelvolturno. Io voglio armare i bambini di strumenti musicali. Il preside di questa scuola mi ha detto “Dottoressa guardi che addirittura vogliono rimanere fino a Luglio a studiare lo strumento!”. E questo è un miracolo, il Miracolo Giogiò, come lo chiamo io.

Cosa possiamo fare noi per aiutarti a realizzare questo sogno?

Attraverso l’associazione “Giogiò Vive” a diffondere la volontà nelle persone di fare delle donazioni perché più corni francesi compriamo, più strumenti musicali compriamo e più possiamo creare nelle scuole questi piccoli orchestre, perché i professori si sono autotassati per comprare gli strumenti musicali, hanno fatto una cosa encomiabile. Più si diffonde questa notizia, più troviamo benefattori e più possiamo portare corni in tutta Italia.

Cosa può fare ognuno di noi nella quotidianità per far sì che anche le piccole abitudini possano cambiare le grandi abitudini?

Fare quello che faceva Giogiò, praticare la gentilezza, perché se noi pratichiamo la gentilezza creiamo un vortice di amore verso l’altro, di rispetto e questo genera ovviamente bambini rispettosi, adulti rispettosi e così la società guasta guarisce.

Grazie a te Daniela e grazie a Giovanni Battista Cutolo.

Grazie a voi.

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